foto di Luigi Iorio - www.luigiiorio.it
La situazione che stanno vivendo i dipendenti del Gruppo Lafert di Fusignano indigna, se ormai parole e indignazione fossero rimasti ancora, in questo tempo dove non ci stupisce più nulla, dove non ci colpisce più nulla il 16 gennaio la dirigenza di Lafert comunica con una semplice pec, certificata ovviamente, che i 60 lavoratori e lavoratrici sarebbero rimasti a casa da marzo in avanti.
Una comunicazione così grave e pesante senza che venga convocato nessun tavolo di discussione con i sindacati. In scena va l’ennesima puntata del capitalismo predatorio, quello dei dirigenti cresciuti a propaganda con i manuali di gestione aziendale, i quali mostrano la loro arroganza e prepotenza con la pec, ma tale comunicazione non hanno il coraggio di farla in faccia ai loro dipendenti, evitano di guardarli negli occhi, si rinchiudono nei loro uffici credendo e sperando che nulla accada.
Il 21 gennaio c’è stato il presidio dei lavoratori fuori la sede di Fusignano, il gruppo ha la sede legale a San Donà di Piave (Venezia), alle 11.00 iniziano ad uscire, dopo un’assemblea, i dipendenti e fuori insieme a loro oltre alla stampa c’è Rifondazione e il sindaco di Fusignano, le istituzioni si sono mosse subito. I delegati del sindacato provinciale di Fiom, Cisl e Uil aggiornano i presenti raccontando che la dirigenza ha mostrato stupore per lo sciopero dei lavoratori, non si spiegano il perché.
La Lafert a Fusignano produce motori elettrici, non sono prodotti commerciali comuni, sono fatti su misura per le esigenze delle aziende clienti. Parlando con Marco e Marica dipendenti e sposati, mi raccontano che si nel 2024 c’è stata un po' di flessione, ma le commesse per il nuovo anno a dicembre sono aumentate di più del 60%, infatti la cassa integrazione si era interrotta a settembre, era iniziata nel 2023.
Lafert insomma, nonostante a Fusignano abbia un prodotto richiesto, vuole chiudere la fabbrica lo stesso e spostare la produzione nella sede di San Donà di Piave, ma come ricordano i delegati Fiom, nella sede veneziana la situazione è anche peggiore, attualmente si fa una cassa integrazione che copre 4 giorni su 5. Non convince quindi questa scelta, tutto fa pensare che il progetto del gruppo, acquistato nel 2018 dalla giapponese Sumitomo Heavy Industries Ltd, sia quello di chiudere pian piano le sedi italiane per spostare la produzione all’estero, il gruppo infatti è presente anche in Cina.
Un classico che in Italia abbiamo visto tante, troppe, volte la de-industrializzazione guidata e progettata ad arte, crisi costruite e volute con scelte che appaiono strane solo perché non si vogliono unire i puntini, perché non si vuole approfondire o non si può, visto che i grandi gruppi industriali sono anche proprietari di mezzi d’informazione e fanno lobby con la politica. Siamo il Paese che di recente ha perso l’automobile senza che la politica e la gran parte dell’informazione battesse un colpo.
Il caso della Lafert sembra seguire questi binari, c’è stato un incontro in Regione il 23, si è riusciti a bloccare per un po' la procedura, c’è un altro incontro il 28 con Confindustria a Venezia, di sicuro la battaglia delle lavoratrici e dei lavoratori è appena iniziata, in gioco c’è anche un territorio, la Bassa Romagna che come tutta la provincia di Ravenna da anni è soggetta ad una desertificazione lenta e costante, il cemento sembra essere l’unico investimento fattibile per questo territorio, case e centri commerciali, ma senza lavoratori, senza un economia di produzione chi compra le case, chi spende nel tempio del consumismo?
A queste domande oggi il capitalismo e il neo liberismo non sanno più rispondere, per anni si è consentito di fare sciacallaggio sulle aziende italiane, e assistiamo alla retorica di Multinazionali come Lafert, la quale nei suoi documenti parla di politiche pro lavoratori, di come ci tenga ad un buon rapporto tra le parti, ma poi definisce i propri dipendenti “Capitale Umano” gergo aziendale simile a “Risorse Umane” anche esso molto usato, terminologie inventate dai nazisti per de-umanizzare i prigionieri dei campi di sterminio, per consentire ai dirigenti di tali campi di non solidarizzare con le vittime. Burocrazia fredda come una pec, con la quale si volevano lasciare 60 persone a casa e chiudere tutto.