Impazza in queste ore una serie di attacchi alla magistratura, rea di essere "politicizzata", da parte della maggioranza e del Governo, per le ben note vicende legate allo sbarco di alcuni migranti in Albania.
Sorprende come in tutte le trasmissioni politiche, anche quelle meno faziose rappresentanze di maggioranza (ma anche ministri) sostengano serenamente l'esistenza di fatto di un colpo di Stato da parte delle toghe. La parola "colpo di Stato" non è esagerata perché, in un mondo normale, se un politico sostiene che un organo dello Stato intende sostituirsi arbitrariamente ad altri, allora è un atto eversivo.
Ovviamente la deontologia istituzionale vorrebbe che gli allarmi di una eventuale eversività della magistratura non scatti all'indomani di una decisione non condivisa.
Sia chiaro: criticare, senza vilipendiare, un organo dello Stato come la magistratura (provando a distinguere la critica alla magistratura con una critica al sistema giustizia in senso lato, la differenza è evidente e non di poco conto) è certamente lecito; il problema è che queste critiche, da berlusconiana memoria, si trasformano nello scardinamento della divisione tra poteri e nell'auspiscio del superamento del bilanciamento tra gli stessi (On. Ravetto oggi, "i giudici si ricordino che i politici sono stati eletti"), fino a ministri che tentano di aizzare la folla in piazza contro la magistratura. Alla fine la soluzione, seguendo la logica di quanto dicono dalla maggioranza, non potrà che essere una: limitare l'indipendenza della magistratura in favore di chi ha ricevuto la benedizione elettorale.
In tutto ciò per il cittadino, ossia il vero ed unico interessato, i veri problemi della giustizia non cambiano, anzi, peggioreranno.